Cinguettii

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l'altra faccia della modernità

Auguri Anno della Scimmia

Auguri Anno della Scimmia
Auguri Anno della Scimmia

Del vedere il mondo

"C'è un'enorme differenza tra il vedere una cosa senza la matita in mano ed il vederla disegnandola"
Paul Valery



Qui troverete tanta Cina, disegno, letteratura di viaggio..se volete suggerirmi spunti, link, luoghi siete i benvenuti..


lunedì 26 settembre 2011

MATITE IN VIAGGIO A MESTRE AL CENTRO CANDIANI

PROROGATA AL 22 OTTOBRE COMPRESO


Il 7/8/9 Ottobre saremo tutti al Candiani di Mestre per una rassegna dedicata ai carnet de voyage.

L'inaugurazione venerdì 7 ottobre alle 18
Nasce dallo sforzo dell'Associazione Matite in Viaggio ispiratasi all'esempio di Clermont Ferrand che con la sua Biennale du carnet du voyage è già arrivata alla XI Edizione. Abbinata alla mostra anche proiezioni video e musica.

tanto per cambiare c'è qualche cosa di cinese anche qui. Credo che Candiani si riferisca all'Ammiraglio Candiani, che fu a capo del corpo di spedizione italiano inviato nel '900 in Cina in occasione della cosidetta "Rivolta dei Boxer"..

Saremo presenti in 40, esperienze diverse, mani diverse, stili diversi....io HO UNA GRAN CURIOSITA DI VEDERE..
Ecco il link:
http://www.matiteinviaggio.it/presentazione.php

Tutti i partecipanti
-Ambrogio Andrea
-Baccini Lucia
-Bolshakova Juliya
-Brand Brigite
-Bruscia Romina
-Capecchi Simonetta
-Cariani Roberto
-Carraro Fabrizia
-Casale Gabriele
-Cisi Luciano
-Cocco Giovanni
-Cornia Christian
-Costa Marina
-De Petris Giancarlo
-Delladio Simone
-Dossi Benedetta
-Elisabetta Mitrovic
-Favretti Lisetta
-Gemma Federico
-Grillotti Dario
-Herranz Miguel (Freekhand)
-Illiprandi Giancarlo
-Inma Serrano
-Javier de Blas
-Julien Fassel (Lapin)
-La Gioia Clelia
-Lawlor Veronica
-Longhi Andrea
-Lunghini Alberto
-Malfatti Roberto
-Mascia Antonio
-Menetti Sara
-Neretti Roberta
-Orlando Gabriele
-Pallini Marco
-Pezzetta Edi
-Piacenza Valentina
-Rigato Simonetta
-Russo Angela Maria
-Sacchetti Giovanna
-Sagar Fornies
-Salvador Barnaba
-Samek Lodovici Marco
-Simoni Chiara
-Spianelli Laura

domenica 18 settembre 2011

FESTIVAL DELLA FILOSOFIA - IL COSMO CINESE ANTICO di Roel Sterckx

Ecco un abstract degli appunti della lezione del professore del 16 settembre 2011

Nel XVII sec. Leibniz è uno dei primi ad interessarsi alla Cina, Cina che aveva conosciuto attraverso le letture delle lettere che i missionari gesuiti avevano scritto dalla Cina. Nel testo che elaborò vedeva Confucio come una soluzione ai suoi problemi con Dio. Leibniz credeva in una società non governata da un occhio punitivo trascendentale ma da un umanesimo che fosse privo di un Dio trascendete. Il pensiero cinese non spiegava il mondo con la categoria del trascendente dell’occidente.


I filosofi cinesi apparivano più concentrati sul “qui ed ora” piuttosto che sull’aldilà. Il confucianesimo appariva pertanto più razionale e più rivolto alla società rispetto alle questioni metafisiche dell’epoca. Forse Leibniz idealizza troppo. Il concetto di un cielo privo di carattere di supernaturalità era esagerato.

Questo comunque rappresenta l’inizio del momento della storia in cui il pensiero cinese ha fornito un’alternativa ideale al pensiero occidentale. Il processo in cui il pensiero cinese è un valore chiave è un processo che continua anche ora. L’immagine che abbiamo della natura in Cina è quella rappresentata dai paesaggi cinesi classici, con montagne, picchi ed un eremita in contemplazione. E’ la Cina del poeta, dei giardini cinesi, della medicina alternativa una Cina in perfetto equilibrio.

In realtà i Cinesi come concepivano il cosmo?

Lalezione fornisce le nozioni basilari di come i cinesi concepivano il cosmo, cioè un continuum che enfatizza l’unità degli esseri nel proprio ambiente.
Una tale visione della natura non è infatti riflessa nel mondo pratico in cui gli esseri umani interagiscono con la natura. Nessuna civiltà stabilisce dei rapporti sulla base della cosmologia: va permesso un grado di diversità.

La Cina antica cui si riferisce è quella della Cina che va dal periodo dei Regni Combattenti (contemporanea di Aristotele e Alessandro Magno) alla prima dinastia Han nel 221 d.c.. E’ il periodo in cui la Cina da stati feudali si unifica in un impero, prendendo la forma che ha mantenuto in seguito. E’ il periodo in cui si manifestano i più importanti sviluppi sociali, statuali, nascono le scuole filosofiche, la letteratura, la storiografia e la contabilità.

La questione posta dalla filosofia è se ci sia il Concetto di Natura in Cina.

Zi ran

L'assenza di definizioni è una delle caratteristiche del pensiero cinese classico. Il temine che identifica la natura è “zi ran” che in realtà letteralmente significa “di se stesso”, quindi un termine che implica la spontaneità e che non ha nulla a che fare con lo stato fisico. E’ lo stato più essenziale dell’essere. E’ un concetto fortemente diverso dal termine “Fusis” della filosofia greca: zi ran indica una modalità d’essere ed include elementi assegnati alla società umana ed alla cultura. I filosofi cinesi non sono mai stati “turbati” dalla questione di “cosa sia una determinata cosa” ma piuttosto da “come funzione una cosa”.

Uno dei principali termini per spiegare tutto ciò è il termine “dao”.


E’ un vocabolo molto importante ma difficile da definire univocamente. Il carattere che lo identifica è composto da due parti l’una che significa condurre e l’altra testa. Il termine in origine era usato per significare “condurre il fiume in modo tale che non esondi”. La spiegazione più semplice è tuttavia diventata quella di “cammino, strada,via, arte” e può fare riferimento a vari insegnamenti ma il primario significato è quello di “via o cammino”. Anche se il concetto è articolato, ciò che comunque emerge è che opera sulla base di un percorso specifico. E’ comunque un principio che governa il consesso umano, un processo spontaneo che regola il cammino dell’universo. Il senso della vita? Il cinese direbbe che non esiste. Dao rappresenta piuttosto il seguire il proprio cammino per portarlo avanti in maniera soddisfacente. I Confuciani che sottolineano e sono concentrati sulla morale, parlano di Dao nella vita dell’umanità. Per i Taoisti invece, Dao è il ritmo naturale dell’universo. Per spiegare il termine spesso ci si rifà all’acqua ed al suo fluire. In occidente la prima domanda sarebbe stata “cosa è l’acqua e il Dao da cosa è composto da dove viene?”. La cosmologia cinese invece si muove in modo totalmente diverso. I Cinesi non hanno un mito fondante della creazione, del creatore ovvio, non hanno riferimenti al un big bang, ad un inizio in cui il mondo è stato creato dal nulla da un Dio sovrannaturale. L’universo cinese è un universo organico, un cosmo energetico di forze naturali di cui gli uomini sono parte integrante assieme alla natura. I tradizionali cardini del pensiero giudaico-cristiano di “spirito e materia” “oggetto ed attributi” non sono presenti nel pensiero cinese dove tutto è comportamento, modalità.

Per il pensiero cinese la materia elementare è il “qi"
Qi è formato da due parti l’una che indica l’aria e l’altra il riso: ovvero il qi nel pittogramma originario è "il vapore che sale durante il processo di cottura”. E’ dunque traducibile come “l’alito di vita", una natura primaria che si manifesta in varie forme e consistenza, pesante o leggero. Il qi ha vari gradi, può espandersi o rapprendersi, concentrasi o diluirsi, può essere torbido e raffinato. Gli uomini rappresenterebbero la fase intermedia tra questi opposti stadi. Il corpo è qi più grossolano mentre il cuore e la ragione sono più raffinati. Roel suggerisce ai suoi studenti di non tradurre tale termine.

Secondo un filosofo cinese del II sec. d.c., il qi grezzo formerebbe gli animali, quello raffinato gli uomini. Di base comunque il qi forma tutto l’universo dosato in densità e gradi differenti.

Alla base del meccanismo che regola il cosmo è il concetto di cambiamento, tutto è in costante cambiamento, dal corpo alle stagioni. Sulla base di questo andamento gli intellettuali cinesi riuscivano a spiegare il cambiamento: tutte le specie mutavano attraverso processi di metamorfosi. Nelle società agricole essere in grado di spiegare i cambiamenti è molto importante ed ecco perché il calendario in Cina era inteso come una proprietà dell’imperatore. Chi era in grado di scrivere un calendario era molto importante perché gestiva il tempo degli altri (ed ecco perché durante il periodo maoista tutti gli almanacchi erano stati vietati). Per questa ragione tutte le civiltà più importanti hanno avuto il calendario.

Se il cosmo è costituito dal qi e governato dal cambiamento, come si manifesta tale cambiamento?

Roel introduce il concetto di Yin e Yang elaborati ancora nel IV sec d.c.. Il simbolo che li rappresenta è un universo diviso in due piani: Nord e Sud. A sinistra è lo yang a destra è lo yin. Yin e Yang sono facili a capirsi se si definiscono come caratteri complementari: quando le parti si allontanano dalla coesistenza armoniosa, ecco che nella natura si manifestano i disastri (secondo il pensiero cinese). C’è si un dualismo ma non è netto, sono due strumenti analitici che permettono di descrivere la ns esistenza sulla base di questi due aspetti: nulla è totalmente yin, come nulla è totalmente yang.

Ecco dunque che per il pensiero cinese il cosmo è una rete correlata, in cui tutto è legato a tutto e dove ogni elemento per sopravvivere necessita di tale correlazione.

Già con la prima dinastia, la Han, le persone vedevano il mondo come corrispondenza spaziale e temporale, è il periodo del cosiddetto confucianesimo Han che è stato la base ed usato fino al XIX sec. Ed ha elaborato lo Wuxing ovvero le 5 fasi. Secondo tale pensiero oltre all’interagire di yin e yang, tutto è interpretabile sulla base delle 5 fasi/forme o WuXing. Tutte le fasi hanno un ciclo e tutte le forse hanno una influenza reciproca: le 5 stagioni, i 5 elementi, i 5 colori etc

Gli umani non sono posti su una scala evolutiva come nel pensiero di Aristotele o Darwin, il pensiero cinese non vede un progresso evolutivo ma analizza gli umani sulla base delle loro proprietà in relazione agli altri. Ecco perché coloro che erano non-Han, ovvero barbari erano identificati come animali che vivendo attorno al “centro” (i cinesi) ma senza relazioni con esso.

L’imperatore incarnava colui cui spettava la responsabilità di mantenere questo equilibrio. E come poteva tenere assieme tali relazioni?L’imperatore disponeva di funzionari che scrutavano il cielo ed interpretavano o anticipano eventi del mondo naturale che aiutavano a comprendere gli eventi ed accadimenti del mondo politico. Anche oggi l’unità di cielo e uomo diventa l’ideologia che vuole promuovere lo sviluppo sostenibile. Questo tipo di pensiero cosmologico punta sull’armonia e sulla separazione tra soggetto ed oggetto. Tale idea esclude la presenza di individui che spicchino sugli altri favorendo un continuum che serve a creare la “rete”.


Andernos les Bains, Francia, il porto...non c'entra assolutamente nulla con l'argomento!

mercoledì 7 settembre 2011

I VIAGGI DELLA (MARCO) POLO…VOLKSWAGEN - L'ENERGIA SACRA (ultima parte)

A seguire  i miei appunti della lezione del professore. Eventuali errori sono imputabili solo a me stessa.

La seconda parte della lezione affronta il tema della straordinarietà dell’atto creativo



Nell’ottobre dello scorso anno sulla stampa italiana si dibattè di cultura in particolare della relazione tra “cultura alta e cultura bassa” .Nel numero del Corriere di giovedì 14 ottobre 2010 il francese Marc Fumaroli ha rivolto un appello all’Italia affinché svolga il ruolo di dar vita ad un nuovo Rinascimento culturale, l’Italia perchè sola possiede quella ricchezza culturale che può evitare l’appiattimento e l’imbarbarimento. Il 15 ottobre gli rispose Eco invitando ad un ritorno dell’insegnamento alto abbandonato a causa della malsana ed astratta idea della facilitazione che in realtà non facilita. L’arte mercificata e dominata dai signori della comunicazione. Il tema posto era dunque quello di arte, artisti e creatività. Chi è l’artista ? come lo si definisce dove si colloca?

Calza introduce il pensiero dell’esteta cinese Xie He che nel 530 d.c fissò in un canone i 6 criteri che definiscono il pittore. Il canone divenne una pietra miliare utilizzata da pittori e teorici anche nei secoli successivi. Secondo Xie He i pittori del primo livello sono coloro in grado di trasmettere il “qi”. Varie correnti sostennero tuttavia che superiori a questa prima categoria sarebbero gli artisti liberi da canoni di convivenza sia sociale sia estetici. Questo concetto può essere traslato nella nostra lingua in “eccentrici”.

Calza si domanda perché normalità, ripetitività, conformismo dovrebbero stare al centro? E perché coloro, opposti, debbono stare fuori del centro? Una teoria pone accanto al percorso della creatività il “disordine bipolare”: gli studi di Janssen K. su creatività e patologia hanno esaminato la correlazione tra questi due elementi. In Italia tali studi sono condotti da Stefano Carracioli dell’Università di Ferrara. La creatività richiede a chi la vuole perseguire la stranietà alla normalità e la rinuncia alla vita comune.. In “Crimini letterari” del 1912 si afferma inoltre che il vero talento non fonda scuole, che in quanto tali producono uniformità di maniera e risultati mediocri. Rosenfield (?) non usa il termine eccentrico ma preferisce attribuire all’artista il significato di “straordinario”. E in ambito asiatico chi è colui che definiamo straordinario? Nel pensiero cinese il termine è assimilabile al concetto di “jiren” (in giapponese kijin) valore spiegato dal pensatore cinese Zhuangzi nel sesto capitolo. Zhuangzi sostiene che i jiren, sono “esenti dal dover seguire la norma, perché sono jiren e dunque trascendenti.. sono persone normali per il cielo mentre sono straordinarie per la terra.”
Hokusai

In questo filone interpretativo si può valutare la testimonianza di Van Gogh quando nel 1885 in una lettera al fratello Theo scriveva “ la pittura è fede ed impone il dovere di non tenere in considerazione l’opinione pubblica”. Ecco dunque che i parametri dell’arte, così come sono stati definiti in questi esempi, non pertengono solo all’arte ma anche all’etica ed al divino alla stessa maniera di quanto hanno fatto i monaci-artisti zen.

In un’altra lettera a Theo, Van Gogh diceva:”.. a studiare l’arte giapponese si scopre nell’artista un uomo molto saggio ed intelligente che passa il tempo a studiare un solo filo d’erba ma questo studio lo porta poi agli alberi, ai paesaggi ed infine alla figura umana. E la vita è troppo breve per compiere tutto”. Van Gogh da dove coglie la riflessione sul filo d’erba degli artisti giapponesi?

Le sue parole riecheggiano quelle di Goncourt quando definì il percorso creativo del pittore giapponese Hokusai (1760-1849), il più famoso artista “asiatico” in Occidente. Quel “filo d’erba” citato da Van Gogh aveva portato Hokusai a divenire maestro insuperato della fisiognomica. Nel suo “manuale illustrato sull’uso del colore” Hokusai diceva: "… Dall'età di cinque anni ho la mania di copiare la forma delle cose, e dal mezzo centinaio in poi ho esposto molti disegni, ma non ho dipinto nulla di notevole prima dei settant'anni. A settantatre ho compreso un poco la forma delle erbe e degli alberi, la struttura degli uccelli e degli altri animali, insetti e pesci; perciò a ottanta mi auguro di essere progredito oltre; a novanta di aver carpito il significato segreto delle cose, così che a cento avrò raggiunto il divino mistero e, a centodieci, anche un punto o una linea saranno vivi. Prego chi di voi vivrà abbastanza di verificare queste mie parole."

Scritto da Manji il vecchio pazzo per la pittura all'età di settantaquattro anni
Hokusai


Dunque per questi artisti non esiste certezza di conoscenza e creatività, non esiste se non entra nel cuore e nella mente.

Calza conclude affermando che la “creatività è energia sacra”, può accadere alle volte di percepirla ma non la si trattiene...

bellissimo
Hokusai


Fine

domenica 4 settembre 2011

I VIAGGI DELLA (MARCO) POLO…VOLKSWAGEN - L'ENERGIA SACRA

Al Festival delle Mente di Sarzana bellissima ed entusiasmante la lezione del prof. Calza del quale mi ha affascinata non solo la profonda cultura ma anche lo spessore umano. La lezione dedicata ad estetica e creatività tra Oriente ed Occidente partiva dall’ipotesi di una ricerca del ricongiungimento di un’unità tra mente, psiche, corpo coordinati dalla coscienza.


A seguire sono i miei appunti della lezione del professore. Eventuali errori o inesattezze sono imputabili solo a me stessa.
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L' Asia è stata ciclicamente fonte preziosa di suggerimenti e di antidoti per l’Occidente.

Calza in particolare si sofferma su una corrente del buddismo nata in Cina nel VI secolo poi diffusasi in Giappone ed in Asia conosciuta col nome di Zen. Lo Zen diede origine ad un genere pittorico (a partire dal 600) caratterizzato da inchiostro nero su carta bianca creato da monaci-artisti. In Giappone lo Zen era/è una filosofia ed una corrente religiosa nonchè una disciplina della vita. Forse in parte assimilabile a tale disciplina è quanto avviene nelle esperienze meditative proposte anche in Europa dai monasteri cistercensi.

Art Nuveau e Art Decò sono state influenzate dallo Zen. Gli artisti europei ed americani che si sono avvicinati più di recente allo Zen ne riconobbero l’arte solo in un secondo momento (es. Marden e Keruak). Per loro lo Zen ha rappresentato una possibile soluzione ad istanze soprattutto etiche e solo in parte estetiche. Lo Zen possiede caratteriste che hanno interessato le avanguardie occidentali in particolare nell’ accostare insegnamento rigoroso da un lato senza regole dall’altro, irridente ed iconoclasta delle proprie forme

Lo Zen affonda le proprie origine in un discorso che Buddha ..“non fece”: rimase infatti seduto, tenendo in mano un fiore di loto e non parlò. Un solo suo discepolo ne capì il senso che trasmise a 28 generazioni di patriarchi. Il 28° patriarca fu Bodhidharma: posto in Cina, nel tempio di Shaolin, nel VII secolo è ritenuto l’iniziatore della dottrina Chan o Dhyana, parole che significano meditazione. Pertanto “l’insegnamento segreto” del discorso-non-fatto non era la predica bensì la meditazione; meditazione non rivolta a grandi folle ma trasmessa in un rapporto diretto tra maestro e discepolo.

Secondo la via Zen ognuno ha la natura di Buddha nel senso di “svegliato”. Tale Natura è presente in nuce in tutti noi, ma si può trascorrere l’intera esistenza senza entrarne in contatto.

Per Bodhidharma scopo dell’uomo è la liberazione dalle forme automatiche del pensiero, la capacità di far “azzittire” il pensiero, il suo fluire attraverso l’azione meditativa. L’arte zen, la pittura e calligrafia testimoniano la via dell’artista verso tale consapevolezza.

In Europa un testimone di tale percorso liberatorio è ad esempio il musicista e pittore John Cage. Il suo rapporto con lo Zen è provato dal pezzo musicale che porta il medesimo titolo dei suoi 150 disegni zen: Ryoanji (1983). Ryoanji è il nome del più famoso giardino zen, a Kyoto, e significa “Drago in stato di tranquillità”. Fu progettato - in semplici parole - come processo meditativo ed in maniera analoga Cage determinò le note sul pentagramma della sua piece musicale.

Per facilitare la comprensione di cosa significhi/implichi “azzittire il pensiero”, Calza riporta l’esperienza della neuro anatomista statunitense Gill Bell Taylor. La Taylor nel 1997 a trentasette anni fu colpita da un ictus provocato da una grave anomalia circolatoria tra emisfero sinistro e destro del cervello. L’ictus la privò dell’uso dell’emisfero sinistro che recuperò, in parte, nella successiva rieducazione intrapresa per otto anni assieme alla madre. Da questa dura esperienza uscì il libro dal titolo italiano “ la scoperta del giardino della mente”. Dice la Taylor che nell’emisfero destro. “ non esiste tempo diverso dal presente. Vita, morte, gioia, percezione, espressione di un legame..tutto avviene nel tempo presente… l’adesso è un momento sterminato”. L’empatia la dobbiamo dunque all’emisfero destro, all’emisfero sinistro dobbiamo invece il concetto di tempo. Attraverso i centri del linguaggio dell’emisfero sinistro la mente “ci parla in continuazione”: è il “chiacchericcio cerebrale”. La Taylor narra altresì la profonda pace interiore indotta dalla dominanza della mente destra in quanto l’emisfero sinistro era fuori uso per l’ictus. Dice “mi percepisco non più come solido ma come un fluido fluttuante

I monaci-artisti zen testimoniano visivamente questo percorso di consapevolezza raggiunto ..senza ictus. Per loro pittura e calligrafia sono gli strumenti della meditazione. Poiché l’insegnamento zen si basa su un rapporto diretto tra maestro e discepolo, gli episodi rappresentati sono quelli emblematici della storia del buddhismo chan (un po’ come avviene anche col cristianesimo). Sono soprattutto Bodhidharma e gli episodi della sua vita la fonte d’ispirazione nelle rappresentazioni pittoriche dei monaci-artisti.


Calza mostra un dipinto di Nantembo (1839-1925) opera realizzata a 71 anni. Il quadro rappresenta il 28° patriarca, in particolare il busto è espresso da un tratto più scuro che scende a dissolversi. Gli occhi sembrano quasi quelli di un fumetto, con le due pupille “stupite” nell’orbita sotto una fronte corrugata. La poesia a fianco dice ..”così come il fiore produce spontaneamente l’effetto immediato…”La frase è tratta da un brano cinese dei classici zen: ci si libera dall’attaccamento.




Un'altra immagine ci viene mostrata, sempre di Nantembo. Il titolo è “Vastità aperta. Nulla di sacro” Fa riferimento alla risposta che Bodhidharma diede all’imperatore cinese Wu. L’immagine è visibile: http://zenpaintings.com/artist-nantembo.htm
L'imperatore Wu del Liang chiese al grande maestro Bodhidharma: "Qual è il significato supremo delle sante verità?".
Bodhidharma disse: "Vuote e senza santità".
L'imperatore disse: "Chi mi sta di fronte rispondendomi così?".
Bodhidharma risposte: "Non lo so".

Il significato del nome Bodhidharma è “legge del risveglio”. Nell’iconografia popolare giapponese è quasi sempre rappresentato in busto o come una bambola portafortuna rossa senza gambe. Questo perché dopo avere risposto all’imperatore si ritirò per nove anni a meditare in una grotta..va da sé che perse l’uso delle gambe.


Calza mostra due dipinti del monaco-artista Fugai Ekun (1568-1654). La prima opera rappresenta Bodhidharma che attraversa il fiume per recarsi alla meditazione dei nove anni. Mostra quindi un ritratto rappresentato in modo “esotico” nel senso che ha lunghi lobi, naso aquilino ed è molto peloso, tutte caratteristiche somatiche che né cinesi né giapponesi posseggono.



Segue Hakuin Ekaku (1685-1768) che fu anche riformatore religioso Zen. L’opera presentata si chiama: “ ciechi che attraversano il ponte”. Metafora della conoscenza. Ciechi su un ponte sopra un abisso, l’uomo è cieco ed addormentato sulla conoscienza.




Hakuin Ekaku giunto agli ottanta anni comincia a disegnare grande calligrafia. Il carattere “morte” in primo piano e a destra la scritta “chi vi penetra con lo sguardo è un grande”.


Quello grande a destra è il carattere morire “si” in cinese.

Altro esempio di fusione di mente, emozione, corpo coscienza, è lo schizzo di Gibon Sengai (1750-1837) che rappresenta un salice che si piega al vento. La frase accanto dice: “ anche con venti non graditi, il salice”. La pazienza, ovvero la pazienza la si medita anche in condizioni non favorevoli.


Infine propone un ENSO. Lo Enso è il simbolo per eccellenza dello Zen, è il simbolo del vuoto ed è tracciato con un solo segno di pennello. Propone il disegno di Isshi Bunshu (1604-1646) intitolato “Dharma rosso nell’enso”. Enso ha un significato che non conosciamo. Si dice che i grandi maestri Zen del VI sec. lo facessero come gesto libero tracciato nell’aria. E’ stato anche interpretato come il sorgere della luna piena. All’interno dell’enso è il Bodhidharma, rappresentato di schiena che medita. Il Bodhidharma di questo dipinto è stato realizzato con tre tratti di pennello.




(...continua)

I VIAGGI DELLA (MARCO) POLO…VOLKSWAGEN (prima parte)

Sabato 3 settembre sono partita per Sarzana dove avevo prenotato il biglietto per la lezione del prof Giancarlo Calza dedicata ad estetica e creatività tra Oriente ed Occidente al Festival della Mente (http://portale.festivaldellamente.it/it/eventi).  Un titolo così non me lo potevo certo perdere e per di più Sarzana non l’ho mai visitata.

Questa la meta del “viaggio della (Marco) Polo”. Naturalmente ho accuratamente evitato l’autostrada preferendo, come la solito, la viabilità ordinaria, la SS 63 che passando vicino alla "pagana sacralità" della Pietra di Bismantova, conduce al Passo del Cerreto. Il Passo svalica in Toscana anche se siamo molto vicino a La Spezia e dunque alla Liguria. Al Passo del Cerreto ero stata anni addietro durante un ponte del 2 giugno. A quel tempo preparavo una maratona e mi avevano proposto di aggregarmi ad una tre giorni di corsa trail (ovvero nei boschi e comunque su sterrato) tra Bismantova, il Ventasso ed il Cerreto: “primo giorno salita, secondo giorno piano, terzo giorno discesa” così mi si spiegò…Questi sono i luoghi dove si corre la fantastica Ecomaratona del Ventasso (http://www.ecomaratonadelventasso.it/) ormai divenuta una delle classiche del genere trail.
In realtà chi me lo propose omise di specificare che i miei compagni di corsa erano tutti uomini e ultra-maratoneti, ovvero dediti a distanze ben superiori della classica 42 km 195. Infatti la tratta giornaliera prevedeva non le tre ore di corsa ovvero il limite del “lungo” che avevo allora nelle gambe, bensì 6/7 ore giornaliere!. Chi me lo propose forse necessitava di un alibi/ copertura per una fuga galante, cosa della quale ero totalmente ignara. Ricordo solo che al primo giorno, arrivata stremata per il freddo e la fatica a Ligonchio lasciai liberi gli ultramaratoneti- per i quali ero diventata solo una vera zavorra con velleità di wonder woman- che hanno proseguito per il Rifugio Battisti che in quel 2 giugno era sotto la neve!!
Questo fu il mio primo disastroso approccio a quell’area.

Comunque questa volta sono comodamente in groppa alla mia auto che fila sicura e tranquilla lungo i tornanti della S.S.63. La musica innonda libera l’abitacolo, suonano i Negramaro…”non voglio stare sulla soglia della nostra vita e vedere la nostra passione che muore…la mia pelle è carta bianca, io sono pronto, scrivi tu la parola fine.” Improvvisamente una curva a gomito, leggera sbandata, riesco a controllare…no, tranquilli, non è l’auto sono i pensieri che, incontrollati, hanno preso un’altra strada ma li ho richiamati subito in corsia…Giunta al Passo- 1261 m s.l.m- mi fermo per un caffè al Bar Ristorante Passo del Cerreto e per ammirare quelle straordinarie montagne ad anfiteatro, paesaggio davvero selvaggio: l’area è inclusa nel Parco Nazionale Tosco-Emiliano. Dietro al banco incontro il signor Paolo…e faccio la scoperta di una persona davvero interessante. La mia innocente domanda: “ma qui siete sotto Reggio Emilia, Massa o La Spezia?” apre una voragine di sapere. Il signor Paolo ha fatto ricerche personali sulla genealogia della propria famiglia e sulla storia dei luoghi. Quelle terre, che un tempo erano sotto il Ducato di Modena, appartenevano a quindici famiglie e la sua era una di quelle. Già da bambino mentre correva libero sui campi tagliati per la fienagione, si era stupito delle scritte in francese su un cippo e si era innamorato di una mola in pietra che solo di recente s’è scoperto essere parte di un ospitale legato ai templari. Il signor Paolo è orgoglioso di appartenere a quei luoghi ed a quelle memorie. Mi parla della nonna come di una donna straordinaria che “montava a cavallo come un uomo”, racconta…ohi ohi ripenso che anche a me una volta un Mongolo in Mongolia mi fece questo complimento!. Mentre il signor Paolo svolge la ricca sacca dei suoi racconti, m’immagino la nonna a cavallo, capelli al vento, piglio deciso mentre galoppa da un campo all’altro a controllare la fienagione..mi appare come una Anita Garibaldi.

Il Passo del Cerreto? “No, non si chiamava così” mi dice. Si chiamava Passo del Gatto perché c’era un punto in cui quando soffiava il vento bisognava mettersi a carponi e gattonare in avanti. La strada che svalica al Cerreto poi, non era il passo originario, che in realtà era un poco più spostato, ovvero il Passo dell’Ospedalaccio. Il Cerreto è una strada militare napoleonica, dunque più recente, ecco la ragione delle scritte in francese sul cippo. E chi l’avrebbe detto che un semplice caffè mi avrebbe schiuso tanta conoscenza? Queste sono le storie e gli incontri inaspettati e straordinari che amo tantissimo. La passione di un uomo che nella vita ha fatto altro e che a quaranta anni ha deciso di andare a vivere ed investire (ha un B&B ristorante etc) dove c’erano le sue radici…un popolo che non conosce la propria storia, che non sente la passione non ha futuro, fortunatamente questi incontri mi fanno dire che da noi non è così. Questo incontro per me è valso come una lezione del Festival della Mente.

(..continua)



Shanghai e l'expò

Shanghai e l'expò
Il lato est del Bund ..che notte magica